In
un momento in cui, in Italia, si sta mettendo in dubbio la
necessità di disseminare fra le varie discipline un sapere
non specialistico come la filosofia,
Lévy invita a pensare a un mondo nel quale l'accessibilità
diretta dell'informazione in rete mette in crisi sia il ruolo
dell'insegnante come trasmettitore e venditore di nozioni, sia il
potere dei media tradizionali; un mondo nel quale lo
stesso "mercato" non si accontenta più di una
"professionalità" che rimanga immutata
dall'inizio alla fine della vita lavorativa, ma richiede un
apprendimento permanente. Scuole e università non potranno
più essere luoghi di concentrazione della conoscenza come
collezione di nozioni, ma dovranno diventare animatrici
dell'intelligenza collettiva, per allievi che, potendole trovare
da sé, non hanno più bisogno di nozioni, bensì
di carte nautiche personali per muoversi nel mare
dell'informazione (pp. 153-162). Ragionare in questi termini
significa proporre di trattare l'informazione in quanto tale non
come un oggetto di proprietà privata e di compravendita,
ma come un bene pubblico, il cui valore sta
nell'accessibilità, nella condivisione e
nell'interconnessione. Questo è un punto in comune fra
l'etica hacker
e l'ideale marxista della collettivizzazione dei mezzi di
produzione, se l'informazione va annoverata fra questi. E bisogna
chiedersi, come fa, con molta chiarezza Lévy, se la
riduzione dell'informazione a res privata non sia connessa
alla volontà di conservare posizioni di potere sia nella
distribuzione, sia nella acquisizione della conoscenza.
http://bfp.sp.unipi.it/rec/levy.htm
http://bfp.sp.unipi.it/rec/levy.htm
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